mercoledì 16 marzo 2011

Indagine sulla presenza di solfiti nei prodotti alimentari

I solfiti sono additivi che hanno una duplice funzione: sono conservanti perchè rallentano la moltiplicazione di talune speci di microrganismi e sono anche antiossidanti; pertanto, la legge ne ammette l'utilizzo in determinati alimenti e a determinate dosi massime.
L' associazione di consumatori  ALTROCONSUMO ha condotto una indagine sui solfiti presenti in prodotti alimentari ed ha verificato che non sempre viene rispettata la normativa vigente.
In particolare, è stata riscontrata la presenza di solfiti in alimenti in cui non sono ammessi per legge, in altri alimenti sono stati riscontrati in quantitativi superiori a quelli stabiliti per legge, in altri, ancora, sono risultati essere presenti nonostante non fossero dichiarati in etichetta.
E' stato stimato che circa l' 1% della popolazione è sensibile ai solfiti e la sensibilità porta a sintomi abbastanza gravi come difficoltà respiratoria, fiato corto, asma, tosse.
Inoltre, si possono manifestare altre sindromi più o meno gravi, ad esempio: orticaria, nausea, dolore al petto, rossore al volto (tipico di quando si beve un bicchiere di vino contenente una quantità eccessiva di solfiti).
Le situazioni più ricorrenti sono:
  • omessa dichiarazione
  • presenza in quantitativi superiori a quelli ammessi per legge
  • presenza in alimenti per i quali la legge non consente l'impiego
Quali sono gli alimenti più a rischio?

VINI
La legge ammette la presenza di 210 ppm di solfiti nei vini bianchi e rosati e di 160 ppm nei vini rossi. Questi limiti sono troppo elevati in quanto un paio di bicchieri di vino contengono un quantitativo di solfiti accettabile per una persona di 70 kg. Fortunatamente, i quantitativi normalmente riscontrati sono di gran lunga inferiori ai limiti massimi stabiliti per legge.

GAMBERETTI
Nei gamberetti i solfiti vengono aggiunti per rallentare il processo di annerimento della testa che ne abbassa inevitabilmente il valore commerciale. I limiti di legge vengono normalmente rispettati; purtroppo, sono stati riscontrati troppi casi di omessa dichiarazione

E' stato riscontrato, inoltre, qualche campione di carne tritata con presenza di solfiti (l'uso dei solfiti è consentito solo nella carne tritata destinata alla preparazione degli hamburgere e solo se nell' impasto vengono aggiunti cereali e verdure).
Infine, su un paio di campioni di frutta essiccata mancava la dichiarazione della presenza nonostante essi  fossero presenti.

giovedì 3 marzo 2011

A proposito di diossine


In questi giorni è tornato alla ribalta il problema delle diossine.

Come successo qualche anno fa con le mozzarelle di bufala, ancora una volta sono stati rinvenuti prodotti alimentari contenenti diossine in quantitativi di gran lunga superiori a quelli stabiliti per legge.

Questa volta è toccato a uova e carni prodotte in Germania provenienti da animali alimentati con mangimi contenenti diossine; pare che alcuni di questi mangimi contenessero oli minerali esausti.

Dal punto di vista della  struttura chimica, sono composti aromatici, ossia, contenenti anelli benzenici con doppi legami coniugati.

Le diossine si formano in seguito a processi di combustione e durante alcuni processi industriali (ad esempio: produzione di vernici, produzione dell' acciaio, produzione di taluni pesticidi).

Le diossine, sono nocive per l'uomo; è stato dimostrato che alcune di esse sono cancerogene; inoltre, possono causare diversi altri disturbi, ad esempio: endometriosi, disturbi neurologici, problemi al sistema immunitario, ecc.

Esiste, inoltre, un' altra classe di composti chimici, i policlorobifenili (PCB) che, sia dal punto di vista della loro struttura chimica, sia per quanto riguarda le ripercussioni sulla salute umana, sono simili alle diossine. Per tale motivo, sono anche detti "PCB diossinasimili"; generalmente, sono composti di sintesi utilizzati in particolari processi chimici industriali.

L'esposizione alle diossine può avvenire lavorando in ambienti contaminati, a seguito di episodi accidentali (chi non ricorda la fuga di diossina che si verificò nel 1976 a Seveso?) e, più frequentemente, per l'ingestione di alimenti contaminati.

Per effetto dei processi di combustione, le diossine possono essere presenti nell' aria, nel suolo e, da quest' ultimo possono andare a finire nelle falde acquifere.

Ne consegue che, gli animali alimentati con foraggi contaminati o che bevano acqua contaminata, possono assumere le diossine che, pertanto, possono ritrovarsi nel latte, nelle uova, nella carne.

In particolare, le diossine non sono biodegradabili e sono molto solubili nei grassi, pertanto, questi ultimi fungono da accumulo; per tale motivo, le persone grasse possono più facilmente accumulare diossine.

Per quanto riguarda i limiti di diossine e PCB nei prodotti alimentari, si rimanda alla normativa di riferimento che è il Reg. CE 1881/2006 della Commissione Europea (e successivi aggiornamenti).

Studio di fattibilità della produzione artigianale di fagioli in barattolo di vetro


1-INTRODUZIONE 
Con questo post intendo trattare le problematiche riguardanti  la produzione artigianale di fagioli al naturale in contenitori di vetro da conservare a temperatura ambiente.
2-CENNI SULLE CONSERVE ALIMENTARI VEGETALI
E' utile fare alcuni importantissimi cenni sulle conserve alimentari di origine vegetale al fine di decidere il trattamento tecnologico più idoneo da attuare. Gli obiettivi da conseguire, nella realizzazione di una conserva vegetale sono i seguenti: 
garantire la sicurezza igienica al fine di salvaguardare la salute del consumatore. 
preservare il più possibile le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto. 
operare nel rispetto della normativa vigente 
Le conserve vegetali presentano caratteristiche chimico-fisiche tali da poter consentire lo sviluppo di varie speci di microrganismi (batteri, lieviti e muffe); pertanto si pone il problema di scegliere il trattamento tecnologico più adeguato onde evitare la moltiplicazione dei suddetti microrganismi e la conseguente alterazione del prodotto. Ma il presupposto principale è che la conserva vegetale non rappresenti un rischio per la salute del consumatore.
 Tale rischio può derivare dalla presenza di microrganismi patogeni e tra questi, un ruolo fondamentale lo svolge il Clostridium Botulinum.
I parametri chimico-fisici che determinano la conservabilità e la salubrità di una conserva vegetale sono il pH (parametro che misura il grado di acidità) e l’AW (parametro che misura l’acqua effettivamente disponibile ai microrganismi).
Questi 2 parametri agiscono direttamente sulla moltiplicazione del clostridium botulinum e, a seconda dei valori dei suddetti, possiamo stabilire se questo microrganismo, estremamente pericoloso,  si può moltiplicare oppure no.  
3-CENNI SUL CLOSTRIDIUM BOTULINUM 
Il Clostridium Botulinum è  un microrganismo estremamente resistente alle elevate temperature, per cui, un trattamento termico blando non da nessuna certezza che esso venga distrutto. E’ un microrganismo estremamente patogeno; se posto nelle condizioni ideali di moltiplicazione può produrre una tossina (detta tossina botulinica) che può provocare la morte di una persona nel giro di poche ore, se non si interviene in tempo con un adeguato antidoto. La tossina agisce sulla muscolatura involontaria provocandone la paralisi.
Due muscoli involontari importantissimi sono il diaframma e il cuore; ne consegue che essa può provocare il blocco respiratorio e l’arresto cardiaco con conseguente morte dell’ individuo che ha ingerito la tossina.
Anche se, apparentemente, i fagioli appaiono puliti, non è da escludere la presenza (anzi, sicuramente sono presenti) di microrganismi tipici del terreno e tra questi, le spore del clostridium botulinum; infatti, le spore di clostridium botulinum sono normalmente presenti nel terreno e nell’ aria allo stato quiescente, trovandosi in condizioni non idonee alla loro moltiplicazione.In quanto tali sono perfettamente innocue. 
Il problema è che, nel momento in cui i fagioli vengono lavorati, si possono creare le condizioni per la trasformazione delle spore in forme vegetative; queste ultime possono moltiplicarsi e, nel contempo,  possono produrre la neurotossina. Esistono varie speci diClostridium botulinum; non  tutte producono gas quando si moltiplicano, quindi è sbagliato pensare che quando in un barattolo di conserva vegetale non c’è produzione di gas non vi sia presenza di clostridium botulinum. 
Conoscere i fattori che inibiscono lo sviluppo delle spore del Clostridium botulinume di conseguenza impedire la produzione di tossina, è fondamentale per la scelta del procedimento tecnologico da utilizzare per produrre una conserva vegetale stabile e sicura per il consumatore.
4-FATTORI CHE INFLUENZANO LA MOLTIPLICAZIONE DEL CLOSTRIDIUM         BOTULINUM 
Ossigeno 
Il clostridium botulinum, per potersi moltiplicare deve trovarsi in assenza di ossigeno ma può svilupparsi anche in presenza di piccolissime % di ossigeno.Queste condizioni possono crearsi, ad esempio, nei prodotti sottovuoto (bassissime % di ossigeno) oppure nelle conserve vegetali (specie quelle sotto olio, assenza totale di ossigeno).Viceversa, quando si trova in presenza di ossigeno o in altre condizioni non ottimali, per sopravvivere produce una spora (forma di sopravvivenza), ossia il germe si racchiude in una specie di guscio molto resistente in grado di proteggerlo dalle condizioni avverse e perde la capacità di moltiplicarsi. Se le condizioni vitali ritornano ad essere ideali (per esempio, dentro un barattolo in cui c’è assenza di ossigeno) la spora germina e il batterio torna nella forma vegetativa capace di moltiplicarsi. È proprio a seguito della germinazione della spora che viene prodotta la neurotossina (tossina che attacca il sistema nervoso), che è la più attiva fra le tossine conosciute in natura.
N.B. Il Clostridium botulinum si moltiplica in assenza di ossigeno o in presenza di piccolissime % di ossigeno (generalmente inferiori all’ 1%)  
Temperatura
I vari tipi di Clostridium botulinum presentano esigenze di temperatura ottimale di sviluppo variabili ma generalmente, prediligono temperature medio-alte ( 30 – 40 °C)  A temperature di frigorifero non c’è produzione di tossina e ciò è importante per quei prodotti (in particolare le semiconserve) in cui il controllo dello sviluppo del germe non è attuabile con gli altri fattori. Le basse temperature però non hanno alcun effetto letale sulle spore (le quali, quando si ritroveranno a condizioni favorevoli, germineranno e daranno origine alla produzione di tossina). Le temperature di cottura (sopra i 50/60°C) hanno la capacità di distruggere le forma vegetative ma non le spore che sopravvivono anche a temperature superiori a 100 °C (temperatura di ebollizione dell’ acqua). La tossina, invece, essendo di struttura proteica, se sottoposta a temperature sopra gli 80°C viene degradata; per cui la bollitura, per 15’, di cibi in cui è sospetta la presenza di tossina, riesce a renderli innocui.
N.B. Per distruggere le spore di  Clostridium Botulinum sono necessarie temperature molto elevate: 115-120 °C  
pH
Lo sviluppo del Clostridium botulinum è favorito da un pH intorno a 7La massima produzione di tossina si ha tra pH 5,0 e 8,0, mentre  a pH inferiori a 4,5 non si ha né germinazione delle spore, né produzione di tossina. L’ambiente acido favorisce l’effetto delle alte temperature, per cui è possibile ridurre le temperature dei trattamenti termici di sterilizzazione sia nelle conserve che nelle semiconserve acide (quelle a pH inferiore a 4,5).
NB. A pH inferiori a 4,5 non vi è moltiplicazione del Clostridium Botulinum e, di conseguenza, non vi è produzione di tossina.   
AW (acqua libera) 
I microrganismi hanno bisogno di acqua libera (cioè, non legata ad altri componenti del prodotto) per potersi moltiplicare.L’acqua libera si quantifica con il parametro AW che può variare da 0 (acqua tutta legata ai componenti del prodotto) a 1 (acqua completamente libera). Il valore di AW minima che permette la germinazione della spora, lo sviluppo del germe e la produzione di tossina botulinica è   0,94.  Per abbassare l’acqua libera a valori inferiori a 0,94 dovremmo aggiungere alla conserva una % di sale molto elevata (almeno il 10%) ma ciò non è attuabile perché vi sarebbero pesanti ripercussioni sulle caratteristiche organolettiche del prodotto.
N.B. A valori di AW inferiori a 0.94 non vi è nessuna possibilità di moltiplicazione del clostridium botulinum e, di conseguenza, non vi è nessuna produzione di  tossina  
5-CLASSIFICAZIONE DELLE CONSERVE VEGETALI IN BASE ALL’ ACIDITA’ 
Una classificazione molto significativa delle conserve vegetali si basa sulla loro acidità. Abbiamo le seguenti tipologie di conserve vegetali:   
Conserve molto acide (pH inferiore a 4.20) 
A queste condizioni di pH il clostridium botulinum non ha nessuna probabilità di potersi moltiplicare; l’unico pericolo sono i lieviti, le muffe e i batteri lattici, che vengono distrutti con un normale trattamento termico a 100 °C (bollitura in pentola). Rientrano in questa categoria: i succhi e polpe di agrumi, gli ortaggi sotto aceto e gli ortaggi sott’olio acidificati con aceto, o succo di limone o acidificanti ammessi dalla normativa vigente (es: acido citrico), concentrati di pomodoroconfetture, ecc.
Conserve mediamente acide (pH compreso tra 4.20 e 4.50)
A queste condizioni di pH il clostridium botulinum non può moltiplicarsi ma, oltre a lieviti, muffe e batteri lattici possono moltiplicarsi alcune specie di clostridium e di bacilli che sono termoresistenti al pari del clostridium botulinum ma che, però non sono patogeni.Il trattamento a 100 °C non garantisce, quindi, la distruzione dei suddetti microrganismi; d’altra parte, se essi si sviluppano nel prodotto, ne provocano l’alterazione senza che il prodotto diventi tossico (tutt’al più sarà immangiabile).Per questa tipologia di conserva si sconsiglia, quindi, il trattamento a 100 °C. Per queste conserve è consigliabilel’applicazione di un trattamento termico di sterilizzazione a temperature di 115-120 °C in maniera tale da distruggere le spore dei microrganismi sopracitati.Tuttavia, il trattamento a temperature inferiori non rende il prodotto nocivo per il consumatore. Conserve appartenenti a questa categoria sono: conserve di pomodorosucchi difruttafrutta sciroppata, ecc. 
Conserve poco acide o neutre o leggermente alcaline (pH superiore a 4,50)
Rientrano in questa categoria conserve poco acide come ad esempio: ortaggi al naturale (fagioli, piselli, ceci al naturale), sott’oli non acidificati. Queste conserve possiedono le condizioni per far moltiplicare la stragrande maggioranza di microrganismi, compreso il Clostridium Botulinum. Quindi, se vogliamo stare sicuri sia dal punto di vista dell’ alterabilità che della tossicità della conserva, dobbiamo adottare un trattamento termico di sterilizzazione a 115-120 °C.
Il trattamento termico deve essere validato da persone competenti e verificato con analisi microbiologiche. Nel corso della validazione dovranno essere stabiliti i limiti critici di processo (tempo e temperatura) e presi in considerazione tutti quei fattori che possono influenzare la velocità di penetrazione del calore dentro le confezioni come il peso netto e sgocciolato, la viscosità, lo spazio di testa minimo, il tipo di contenitore (materiale, dimensioni, grado di trasmissione del calore ecc.).
  Come si può vedere, i fagioli al naturale appartengono alla categoria di conserve vegetali caratterizzate da bassa acidità (pH superiore a 4,50); il rischio di moltiplicazione di microrganismi nocivi come il clostridium botulinum è reale e, pertanto, bisogna adottare un trattamento termico di sterilizzazione a 115-120 °C per tempi variabili in funzione di vari fattori (materiale del contenitore, quantità di prodotto contenuto, caratteristiche del prodotto, ecc.).        
6-DESCRIZIONE DEL PROCESSO DI PRODUZIONE
Di seguito viene fatta una descrizione delle varie fasi del processo produttivo.
CERNITA 
Consiste in una setacciatura o esame visivo per eliminare o ridurre a livelli minimi il pericolo derivante dalla presenza di corpi estranei (sassi, pezzi di metallo, infestazioni da insetti, pezzi di legno, ecc.).Eventuali corpi estranei potrebbero essere ingeriti dal consumatore e provocare danni alla salute anche molto seri.
AMMOLLAMENTO
E’ una operazione indispensabile per ammorbidire i tessuti tegumentali del fagiolo in modo tale da ridurre drasticamente i tempi di cottura.Si effettua tenendo immersi i fagioli in acqua a temperatura ambiente (i fagioli devono essere completamente coperti dall’ acqua).I tempi di ammollamento si aggirano intorno alle 2-4 ore in relazione alla specie di fagiolo utilizzata.
 COTTURA
Il tempo di cottura si aggira intorno ad 1-2 ore. La quantità di acqua utilizzata deve essere almeno il triplo, in peso, rispetto al peso di fagioli utilizzati; la quantità di sale è a piacere ma orientativamente intorno all’1-2% rispetto all’ acqua utilizzata.Il sale deve essere aggiunto a cottura quasi ultimata, onde evitare l’indurimento dei tessuti tegumentali dei fagioli.
INVASETTAMENTO E COLMATURA 
Introdurre i fagioli insieme all’ acqua di cottura nei vasetti di vetro lavati con acqua potabile ed asciugati.I fagioli devono restare immersi nel liquido di governo; se fuoriescono possono imbrunirsi e conferire al prodotto un cattivo aspetto. Per ovviare all’inconveniente si può anche introdurre una reticella circolare di plastica sulla superficie dei fagioli. In ogni caso, i barattoli non vanno mai riempiti completamente sia perché i fagioli subiscono un rigonfiamento durante la sterilizzazione, sia perché in fase di sterilizzazione vi è una dilatazione termica del liquido e si potrebbe verificare lo scoppio dei barattoli. E’ buona norma mantenersi almeno 1,5 cm sotto il coperchio con il prodotto e ½ cm sotto il coperchio con il liquido di governo. 
CHIUSURA BARATTOLI CON CAPSULA TWIST – OFF
Dopo la colmatura con liquido di governo, i barattoli vengono chiusi con capsula twist-off. E’ importante imprimere alla capsula la giusta forza di torsione per evitare che il tappo non venga chiuso bene ma che, nello stesso tempo venga avvitato troppo e conseguentemente l’aggancio si deformi e la capsula non faccia più tenuta.  
STERILIZZAZIONE
Il prodotto deve essere sottoposto ad un trattamento termico il cui scopo è di distruggere i microrganismi presenti nel prodotto che alle condizioni dello stesso prodotto potrebbero moltiplicarsi e creare un danno alla salute del consumatore. In base a quanto detto precedentemente, la sterilizzazione va effettuata sicuramente a temperature superiori a 100 °C perché lo scopo è quello di distruggere le spore di clostridium botulinum; si consiglia l’ autoclave che lavora intorno a 115-120 °C. Si potrebbe anche valutare l’impiego della pentola a pressione; in questo caso raggiungeremmo temperature di circa 105 °C e il trattamento termico richiederebbe tempi molto superiori rispetto all’ autoclave ma di gran lunga inferiori rispetto alla normale pentola.In ogni caso, il trattamento termico deve essere validato; vale a dire che bisogna determinare i tempi occorrenti in funzione della temperatura e per fare ciò bisogna utilizzare degli strumenti (datalogger) che determinano il profilo termico del prodotto durante il processo.In effetti, si tratta di uno strumento provvisto di sonde di temperatura che vengono inserite nel centro geometrico del barattolo, in fase di sterilizzazione. I dati rilevati dalla sonda vengono trasmessi ad un software che li elabora e calcola l’ Fo applicato in funzione dei dati utilizzati che, in questo caso, sono quelli del clostridium botulinum.Non è possibile stabilire a priori il tempo di sterilizzazione necessario perché, a parità di temperatura dipende da molteplici fattori: conducibilità del materiale con cui è costituito il barattolo, conformazione del barattolo, caratteristiche del prodotto da sterilizzare, quantità di prodotto contenuto nel barattolo. La sterilizzazione provoca la distruzione dei batteri ma, se non è stata realizzata per tempi sufficientemente lunghi, le muffe, i lieviti e i batteri, e in special modo il temutissimo batterio Clostridium botutinum, possono inquinare i prodotti e causare gravissime intossicazioni al consumatore fino a provocarne la morte. Prima di aprire i vasi è perciò opportuno osservare se si sono verificate delle fermentazioni. L’inconveniente si evidenzia con l’intorbidimento del liquido, la formazione di bollicine di gas, il rigonfiamento del coperchio di metallo. Mentre si apre il vaso è indispensabile osservare che non si avvertano sibili o si sprigionino odori anomali, nel quale caso i vasi vanno inesorabilmente scartati con tutto il loro prodotto.  Sul mercato sono presenti autoclavi delle più svariate tipologie, dimensioni e, ovviamente, costi.È possibile quindi trovare l’impianto più adatto alle esigenze aziendali. Si va dalle autoclavi industriali, che possono processare centinaia di confezioni per ciclo di lavoro, a quelle che possono contenere 20-30 barattoli e quindi adatte anche a lavorazioni artigianali se non addirittura familiari.L’autoclave può essere dotato di registratore continuo di tempi e temperature (su carta o tramite software che scarica i dati sul computer) oppure può essere dotato di semplice display che visualizza tempi e temperature; in questo secondo caso bisogna disporre di un documento di registrazione sul quale si vanno ad annotare manualmente i tempi e temperature.Le autoclavi più semplici possono non avere sistemi di registrazione del processo ma sono comunque dotate di sistemi di allarme che avvertono se per qualche ragione il trattamento termico non dovesse essere stato condotto correttamente. Una volta stabiliti tempi e temperature di sterilizzazione in funzione del formato, essi devono essere rigorosamente rispettati.  In ogni caso, bisognerà disporre di un termometro certificato (con certificazione da parte di un centro SIT) con il quale verificare (con frequenza trimestrale o semestrale) che i valori di temperatura forniti dall’ autoclave siano corretti.
RAFFREDDAMENTO
Deve essere fatto il più rapidamente possibile con acqua fredda per evitare che il prodotto venga esposto ad alte temperature per un tempo troppo lungo con conseguente degradazione delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto.

Riflessioni sulla direttiva 2010/69/UE del 22 ottobre 2010


La Direttiva 2010/69/UE del 22 ottobre 2010 recentemente emanata dalla commissione europea, apporta sostanziali modifiche agli allegati della precedente normativa in materia di additivi alimentari (direttiva europea 95/2/CE recepita con D.M. 209/96).
Chiaramente, la suddetta direttiva dovrà essere recepita a livello nazionale, ma nel frattempo è utile fare alcune riflessioni sulle modifiche apportate alla precedente normativa in vigore.
MODIFICHE RIGUARDANTI TALUNI STABILIZZANTI
Una prima modifica riguarda la ammissibilità di  taluni stabilizzanti ( agar, carragenine, farina di semi di carrube, gomma di guar, pectine, cellulosa, ecc.). Il comitato scientifico per l'alimentazione umana ha stabilito, per questi additivi, una dose giornaliera ammissibile "non specificata" perchè essi non risultano presentare rischi per la salute umana.
Vi è, anzi,  l'esigenza tecnologica di estendere l'impiego di tali additivi ai prodotti a base di latte non aromatizzati, ottenuti con fermenti vivi e ai loro succedanei con un tenore di grassi inferiore al 20 % per garantire la stabilità e l'integrità dell'emulsione.
MODIFICHE RIGUARDANTI SOSTANZE NATURALMENTE PRESENTI IN MOLTI ALIMENTI
Un' altra modifica riguarda gli additivi: lattato di sodio (E 325),  lattato di potassio (E 326),  acetato di potassio (E 261),  acetato di sodio (E 262i) e idrogeno acetato di sodio (E 262ii). Poiché essi sono tutti presenti naturalmente come componenti degli alimenti, il comitato scientifico per l'alimentazione umana ha concluso che i quantitativi assunti con l'aggiunta sono probabilmente trascurabili rispetto a quelli assunti naturalmente.
Di conseguenza tali additivi alimentari saranno consentiti per l'uso in tutti gli alimenti ad eccezione di quelli indicati all'articolo 2, paragrafo 3 della direttiva 95/2/CE; inoltre, è stato proposto di estendere l'uso di questi additivi alimentari alle preparazioni preconfezionate di carne macinata fresca per controllare la crescita dei patogeni microbici, ad es. listeria o E. coli O157. In base alla giustificazione tecnologica e tenendo conto che questo uso non presenta alcun rischio per la sicurezza, è opportuno consentire l'uso supplementare di questi additivi alimentari nelle preparazioni preconfezionate di carne macinata fresca.
MODIFICHE RIGUARDANTI  I SORBATI E I BENZOATI
Altra modifica riguarda i sorbati (E 200, E 202, E 203) e i benzoati (E 210, E 211, E 212, E 213): un uso supplementare di questi additivi alimentari come conservante è stato proposto per i surrogati di prodotti ittici a base di alghe (surrogati di caviale a base di alghe), utilizzati come farcitura di vari alimenti, per impedire la crescita di muffe  e la formazione di micotossine.
Per queste sostanze è stata stabilita una dose giornaliera ammissibile di 25 mg/kg e di  5 mg/kg rispettivamente; anche nell' ipotesi che vengano aggiunti ai suddetti prodotti alimentari nella dose massima stabilita, non ci sarebbero pericoli per la salute del consumatore.
 Inoltre, è stata presentata una richiesta relativa all'uso dei sorbati e dei benzoati per le birre in fusto alle quali è stato aggiunto oltre lo 0,5% di zuccheri fermentescibili e/o succhi o concentrati di frutta e che sono servite alla spina.
 Poiché il fusto non può essere collegato al rubinetto in condizioni sterili è possibile la contaminazione microbiologica del contenuto e ciò potrebbe causare l' innesco di processi fermentativi anomali.
 Da un punto di vista dell'assunzione, il consumo alla spina di birre alla frutta è abbastanza marginale e l' assunzione di sorbati e benzoati sarà sicuramente di gran lunga inferiore alle dosi giornaliere ammissibili.
Per impedire lo sviluppo di muffa sugli agrumi è autorizzato l'uso degli antiparassitari imazalil e tiabendazolo nel trattamento post raccolta. I sorbati (E 200, E 202, E 203) possono essere utilizzati per sostituire, in parte o completamente, questi antiparassitari nel trattamento degli agrumi.I sorbati possono essere applicati sulla superficie di agrumi freschi non sbucciati mediante le cere autorizzate: cera d'api, cera di candelilla, cera di carnauba e gommalacca (E 901, E 902, E 903 ed E 904 rispettivamente). L'esposizione del consumatore a questi additivi mediante l'uso proposto non desta preoccupazioni per la sicurezza.
AUTORIZZAZIONE ALL' UTILIZZO DELL' ESTRATTO DI ROSMARINO
Gli estratti di rosmarino vengono prodotti dal Rosmarinus officinalis L. e contengono diversi composti che hanno funzioni antiossidanti (principalmente acidi fenolici, flavonoidi, diterpenoidi e triterpeni). Sebbene i dati tossicologici sugli estratti di rosmarino fossero insufficienti per consentire all'EFSA di stabilire una dose massima giornaliera, essa ha ritenuto sufficientemente alto il margine di sicurezza per concludere che l'esposizione alimentare mediante gli usi e i livelli d'uso proposti non desta preoccupazioni per la sicurezza. Gli estratti di rosmarino possono quindi essere autorizzati nei casi in cui vi sia una giustificazione tecnologica per l'uso. È opportuno autorizzare gli usi proposti degli estratti di rosmarino come antiossidante e di attribuire il numero E 392 agli estratti di rosmarino.
ESTENSIONE DELL' UTILIZZO DEI FOSFATI
Si ritiene sia opportuno consentire l'utilizzo dei fosfati nelle bevande arricchite con siero di latte (ad esempio: le bevande destinate agli sportivi) al fine di mantenere in sospensione le proteine aggiunte tramite il siero di latte
ALTRE MODIFICHE
Altre modifiche riguardano: sorbati e benzoati in miscele vitaminiche; solfiti nella frutta fresca; nisina nelle uova liquide; dimetildicarbonato in alcune bevande a ridotto tenore di alcol; cera d'api nei wafer preconfezionati contenenti gelato; citrato di trietile ed alcol polivinilico (E 1203) nelle compresse di integratori alimentari; gomma cassia (E 427) come addensante e gelificante; L-cisteina nei biscotti per lattanti e per la prima infanzia.
FONTE: www.newsfood.com

Sequestro di tartufo proveniente dalla Romania


Il corpo forestale dello Stato di Ascoli ha effettuato il sequestro di un carico di tartufo proveniente dalla Romania non in regola con le norme sulla commercializzazione.

Il sequestro va a tutelare il tartufo di produzione marchigiana; la regione Marche, ed in particolare, la provincia di Pesaro-Urbino, detiene una produzione annua di ben 10.000 kg (7.000 kg annui di tartufo nero e 3.000 kg annui di tartufo bianco).

E' possibile trovare, specie ai confini con il territorio della Toscana un grande numero di speci, sia bianche che nere, caratterizzate dall' essere molto grandi e ottime dal punto di vista qualitativo.

 La Fiera Nazionale del Tartufo Bianco di Ottobre e Novembre ad Acqualagna è l’evento più importante che ha permesso alla città di diventare la capitale del Tartufo. Ogni anno è raggiunta da una folla di visitatori italiani e stranieri. Gli stand sono circa un centinaio, la piazza centrale diventa un salotto dove si possono ammirare, annusare e acquistare tartufi freschi e altri prodotti di qualità quali salumi, vino, miele e formaggio prodotti nella zona.

Secondo la Coldiretti Marche, questo ennesimo scandalo alimentare obbliga ad accelerare l'iter per l'approvazione della legge sull' obbligo della etichettatura di origine dei prodotti alimentari.

Attualmente, non ci sono certezze sull' origine del tartufo proprio per la mancanza di una normativa adeguata; pertanto, l'unico modo per essere sicuri di non incorrere in una frode è di rivolgersi direttamente al produttore.

 Intanto continuano al Centro Sperimentale di Tartuficoltura di Sant'Angelo in Vado le analisi sporologiche per la caratterizzazione dei tartufi, al fine di verificare la presenza di Tuber indicum e Tuber himalayensis (tartufi cinesi) di cui è vietata la commercializzazione in Italia. Altri campioni sono stati consegnati al laboratorio di analisi dell'Arpam di Ascoli per accertare la presenza di sostanze contaminanti compresa la presenza di radioattività.

Le indagini sono state estese a  tutto il territorio regionale, in particolar modo i controlli si concentrano presso le fiere e mercati di prodotti tipici, esercizi commerciali e di trasformazione del prodotto.

Obiettivo principale del Corpo Forestale dello Stato in questo settore è quello di tutelare i prodotti italiani tipici di qualità e, nel contempo, la salute dei consumatori.

La Stevia non è tossica: EFSA fissa la dose di utilizzo


  • La Stevia Rebaudiana è una pianta perenne della famiglia dei crisantemi che cresce in piccoli cespugli su terreni sabbiosi ed in montagna. E' originaria di una zona a cavallo del confine tra il Paraguay ed il Brasile ed in piena maturazione raggiunge gli 80 cm di altezza. Ha foglie verdi di forma oblunga con il bordo leggermente seghettato e fiori molto piccoli di colore bianco. Era conosciuta già nell'antichità da alcune tribù d'Indiani del Sud America che la utilizzavano abitualmente per dolcificare bevande e alimenti.

  • La Stevia come sostituto dello zucchero

  • Come noto, un uso eccessivo di zucchero (saccarosio) fa aumentare il livello d'insulina nel sangue e se assunto in eccesso si trasforma in grasso. Attualmente una alternativa artificiale al saccarosio è l'aspartame ma esso non è la  migliore risposta se si considera che a caldo non dolcifica (e quindi non può essere utilizzato per dolci e biscotti da forno) e ha comunque un retrogusto sgradevole.

  • La Stevia può essere una valida risposta visto che è naturale e non apporta calorie. Tutti possono trarre beneficio dall'uso della Stevia, ma in particolare i diabetici, che per problemi di peso devono ridurre l'apporto calorico. I diabetici hanno come alternativa solamente i dolcificanti artificiali. Un eccessivo consumo di queste sostanze può causare problemi di salute se protratto nel tempo, soprattutto in alcuni soggetti particolarmente sensibili.

  • Se si pensa che 2 cucchiai di zucchero hanno 40 calorie e che mediamente in America si assumono giornalmente 650 Kcal provenienti da zucchero, è chiaro intuire come la sostituzione dello zucchero con sostanze che non apportano calorie possa essere di grande aiuto per perdere peso. Se oltretutto lo possiamo fare senza assumere o limitare il consumo di sostanze potenzialmente dannose è ancora meglio.

  • I bambini consumano sempre più spesso gelati, patatine e quant'altro venga offerto loro dall'industria dolciaria che dal canto suo per affezionarli a sè abusa di grassi e zuccheri. Quest'ultimo è uno dei responsabili dell'aumento dell'obesità. Sostituire anche solo parzialmente lo zucchero raffinato con la Stevia, limitando l'uso dei dolcificanti artificiali, può senza dubbio essere d'aiuto per prevenire l'aumento di peso dei ragazzi.

  • In Giappone, la Stevia è addizionata agli alimenti e alle bevande da più di 20 anni: più precisamente si dolcificano caramelle, gomme da masticare, alimenti secchi e cereali, yogurt e gelati, tè e sidro, dentifrici e collutori, ma viene utilizzata anche per alimenti salati, dove contribuisce ad attenuare il gusto del sale (tipico della cultura agrodolce della cucina orientale).

  • Dove trovare la Stevia

  •  Attualmente in Italia non è ancora permessa la vendita di Stevia. L'unico modo è quello di procurarsi la pianta in un vivaio molto ben fornito. Chi di voi capita in Svizzera invece può trovare i semi in un qualsiasi Migros (sono i supermercati più diffusi), lo sciroppo e l'estratto bianco in molte farmacie o erboristerie.

  • Anche internet può esservi d'aiuto. In America ci sono diversi siti che trattano prodotti a base di Stevia. In quel paese infatti è stata approvata la vendita di questi prodotti mentre non è ancora possibile produrre alimenti e bevande contenenti Stevia. Un sito che si può consultare è:  http://www.stevia.net/

  • E' arrivata, comunque, una buona notizia: la Stevia potrebbe presto essere utilizzata anche in Italia in sostituzione dell' aspartame. Il semaforo verde arriva dall' EFSA che ha stabilito la possibilità di assunzione da parte dei consumatori fino a 4 mg/kg di peso corporeo di glicosidi steviolici. Entro tale soglia infatti la stevia non presenta un profilo tossicologico preoccupante.

  • Intanto, l’europarlamentare dei Verdi Bart Staes ha chiesto alla Commissione Europea di rivelare in quali categorie alimentari potrà essere usata la stevia, ed in quali quantità. La Commissione avrebbe infatti ricevuto una lista dei possibili usi che, per ora, non è disponibile alle imprese.

L'Authority europea boccia gli integratori alimentari.


  • Tante promesse, ma pochi benefici veri: i 'miracoli' promessi dai prodotti dietetici e dagli integratori alimentari in molti casi rimangono solo 'su carta', sull'etichetta della confezione. Mancano infatti sufficienti prove scientifiche a loro supporto.
  • A sostenerlo e' un gruppo di esperti scientifici dell'Efsa, l'Authority europea per la sicurezza alimentare, sui prodotti dietetici, l'alimentazione e le allergie, che ha adottato una serie di pareri su 808 indicazioni funzionali generiche sulla salute, prendendo in esame tutti i dati scientifici disponibili.
  • Le indicazioni si riferiscono principalmente a vitamine e sali minerali, ma anche a fibre alimentari specifiche destinate al controllo della glicemia, della funzionalita' intestinale o del peso, ad acidi grassi legati al miglioramento della funzione cerebrale, della vista o della salute del cuore,  a colture di lattobacilli vivi legate alla digestione del lattosio.
  • Il gruppo di esperti dell'Efsa ha espresso pareri contrari per molte delle indicazioni analizzate, per la scarsa qualita' delle informazioni fornite. Le lacune segnalate riguardano, ad esempio, l'impossibilita' di identificare la sostanza specifica su cui e' basata l'indicazione (ad esempio indicazioni su fibre alimentari che non specificano il tipo di fibra); la mancanza di prove che l'effetto indicato sia davvero benefico per mantenere o migliorare la funzionalita' organica (ad esempio indicazioni sull'eliminazione dell'acqua per via renale); la mancanza di precisione relativa all'indicazione sulla salute (ad esempio indicazioni riferite a termini come energia e vitalita'); la mancanza di studi condotti sull'uomo con misurazioni affidabili del rivendicato effetto benefico sulla salute.
  • Eppure, malgrado le tante lacune segnalate dall'Efsa, sempre piu' italiani sembrano essere conquistati dagli integratori. Da una recente indagine commissionata dall'Aiipa (Associazione italiana industrie alimentari) e condotta su 1.084 persone, tra i 25 e i 64 anni, e' infatti emerso che oltre un terzo degli intervistati fa regolare uso di integratori alimentari.
  • Il profilo del consumatore-tipo e' quello di una persona colta, di età compresa tra 45 e 70 anni, che vanta abitudini alimentari buone o addirittura ottime e uno stile di vita sano.
  • Anche secondo Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano gli integratori alimentari sono "prodotti inutili, che non servono a niente".
  • "Dietro questi integratori - sottolinea Garattini - non c'e' nessuna base e alcun riscontro scientifico. Sono prodotti che non servono a nulla, anche perche' oggi l'alimentazione e' talmente varia che risponde ai fabbisogni dell'organismo,  almeno nei Paesi occidentali". Perche' allora sempre piu' italiani fanno uso di questi prodotti? "Perche' intorno a questi prodotti si monta una grande propaganda. A cui - conclude Garattini - non corrisponde alcun effetto".

Parere scientifico sulla valutazione della sicurezza della sostanza N,N-bis(2-idrossietil)dodecanamide per l’impiego nei materiali a contatto con gli alimenti


  •  Il gruppo di esperti scientifici CEF ha ricevuto una richiesta da parte di un’Autorità competente di uno Stato Membro per la valutazione della sicurezza della sostanza N,N-bis(2-idrossietil)dodecanamide per l’impiego nei materiali a contatto con gli alimenti.
  • Tale valutazione rientra nel compito generale di valutazione delle sostanze destinate ad essere impiegate nei materiali in contatto con alimenti, in accordo con il Regolamento (CE) No. 1935/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire in contatto con i prodotti alimenti.
  • La richiesta ricevuta e l'esito della valutazione della sicurezza sono sintetizzate di seguito:
  • L'Ufficio tedesco per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare (Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit) ha chiesto la valutazione della sostanza N,N-bis(2-idrossietil)dodecanamide per l’uso come agente antistatico nelle poliolefine e nei polistireni ad un livello massimo utilizzo di 0,5% p / p nel polietilene a bassa densità (LDPE), 1,0% p / p nel polietilene ad alta densità (HDPE), 1,0% p / p nel polipropilene (PP) e 1,5% p / p nel polistirolo (PS).
  • I materiali plastici suddetti sono destinati ad essere utilizzati per lo stoccaggio di tutti i tipi di prodotti alimentari a temperatura ambiente.
  • Il gruppo di esperti scientifici CEF ha concluso che non vi è alcuna preoccupazione per la sicurezza dei consumatori se la migrazione della sostanza non supera i 5 mg / kg di alimento e la quantità residua di dietanolammina nella plastica non si traduce in una migrazione superiore a 0,3 mg / kg di prodotto alimentare.

Nitrati nelle verdure: consigli per ridurne l'ingestione


  • Come noto, frutta e verdura sono alla base della corretta alimentazione e devono essere presenti quotidianamente nella nostra dieta. Tuttavia, le verdure (soprattutto spinaci, lattuga, coste) potrebbero costituire un pericolo in quanto veicolo di nitrati in quantitativi superiori alla norma.

  • I nitrati sono  presenti naturalmente nel terreno; tuttavia, i metodi di coltivazione intensiva e l’uso di fertilizzanti azotati (ma anche il naturalissimo letame) hanno fatto crescere a dismisura la loro presenza nel terreno e nell’acqua, con il conseguente rischio di accumulo nelle piante; inoltre, la carenza di luce dovuta alla crescita in serra e le coltivazioni invernali favoriscono ulteriormente l’accumulo.

  • I nitrati di per sé non sono pericolosi per la salute; una volta ingeriti, però, possono trasformarsi in nitriti (tossici, ma solo ad altissime dosi) e nelle più pericolose nitrosamine, potenzialmente cancerogene. A oggi, tuttavia, non esistono studi scientifici che hanno messo in relazione diretta l’assunzione di nitrati con l’insorgenza di malattie tumorali.

  • Dal momento che gli effetti positivi dovuti al consumo di frutta e verdura sono superiori ai potenziali rischi per la salute legati alla presenza dei nitrati negli ortaggi, non occorre eliminare queste verdure dalla nostra dieta, ma basta seguire alcuni consigli per ridurre l’assunzione di queste sostanze.

  1. Consumare ortaggi a foglia verde non più di due volte alla settimana. Preferire lattuga e spinaci soprattutto d’estate, quando il livello di nitrati presente in queste piante scende. In inverno è meglio optare per gli spinaci surgelati, che ne contengono meno.

  2. Possibilmente, cuocere le verdure: i nitrati sono solubili in acqua e si perdono con l'acqua di cottura .

  3. Non  conservare la verdura in sacchetti di plastica chiusi: la mancanza di ossigeno favorisce la trasformazione dei nitrati in nitriti.

  4. Aumentare il consumo di vitamina C, ad esempio utilizzando il limone come condimento, per prevenire la formazione di nitrosamine.

  5. Ridurre il consumo di carne in scatola e salumi per limitare l’apporto di nitrati provenienti anche da altre fonti.

Dall'orto il benessere per la memoria


I ricercatori dell’Università dell’Illinois hanno scoperto che nell’orto c’è la chiave per non far impoverire la materia grigia.  Si chiama luteolina, un flavonoide che ha proprietà antiossidanti ed antiinfiammatorie.
  • Questa sostanza è particolarmente abbondante nei seguenti vegetali:
  • peperoni
  • sedano
  • menta
  • carote
  • prezzemolo
  • basilico
  • carciofo
  • Lo studio ha esaminato gli effetti della luteolina nell’alimentazione dei topi ed è stato dimostrato che essa garantisce una riduzione di citochine, molecole infiammatorie che agiscono sul cervello. Con l’invecchiamento, le cellule della microglia, localizzate nel cervello e nel midollo spinale, “subiscono una deregolamentazione e iniziano a produrre livelli eccessivi di citochine infiammatorie”.
  • I ricercatori hanno dimostrato che, anche quando sono esposte a tossine batteriche le cellule microcigliali producono le molecole infiammatorie, danneggiando i neuroni. Nei topi che hanno ricevuto la luteolina questo processo degenerativo è stato rallentato. Gli effetti cognitivi sono più evidenti nella popolazione adulta. La risposta dei topi ha svelato che l’ippocampo, regione cerebrale deputata alla memorizzazione, funziona meglio, garantendo punteggi più alti nei test d’apprendimento.

Mangiare meno carne diminuisce l'incidenza di tumori, malattie cardio-circolatorie e ictus


L'associazione ambientalista "friends of the earth"  ha pubblicato sul quotidiano britannico "Guardian" un report sui danni derivanti da un eccessivo consumo di carne.
  • secondo questa associazione, l'eccessivo consumo di carne sarebbe responsabile di almeno 45.000 morti all'anno a livello mondiale: 31.000 morti all' anno a causa di malattie cardiache, 9000 morti all' anno a causa di tumori e 5000 morti all' anno a causa di ictus.
  • Inoltre, l'eccessiva produzione di carne provoca ingenti danni all'ambiente; superfici enormi di foreste vengono distrutte per far posto ai pascoli, e per produrre 1 kg di proteina animale vi è un dispendio economico, in acqua, in energia, ecc. pari a  quello occorrente per produrre circa 10 kg di proteine vegetali.
  • Secondo l'associazione "friends of the earth" non è necessario eliminare del tutto il consumo di carne per evitare le ripercussioni negative sulla salute umana  ma sarebbe sufficiente ridurne il consumo a circa  200 grammi pro capite alla settimana.
  • Quanto affermato dall' associazione ha innescato, chiaramente, polemiche e giudizi negativi o positivi.
  • Giudizi positivi sono stati espressi, ovviamente, dai vegetariani e dalla gran parte delle associazione che li rappresentano.
  • Giudizi negativi sono stati espressi dalle associazioni di produttori di carne, secondo le quali i dati riportati non sono suffragati da evidenze scientifiche.
  • Paradossalmente, giudizi negativi sono stati espressi anche dalla "vegetarian society" secondo la quale, per diminuire l'incidenza di tumori, malattie cardio-circolatorie e ictus, la carne andrebbe abolita completamente dalla dieta.

Rischi e benefici dei vari sistemi di cottura dei cibi


I principali sistemi di cottura dei cibi sono:
  • cottura in acqua
  •  cottura a vapore
  •  friggitura
  •  grigliatura
  • La cottura a vapore presenta  aspetti positivi legati alla minore perdita di sali minerali e vitamine idrosolubili (vitamina C, vitamine del gruppo B) e, più in generale, delle sostanze nutritive termolabili.Purtroppo, non è sempre possibile adottare la cottura a vapore ma quando è possibile è un sistema da preferire alla cottura in acqua. La cottura a vapore sottovuoto, inoltre, consente una preservazione di sostanze nutritive ancora migliore rispetto alla cottura a vapore a pressione atmosferica in quanto si svolge a temperature inferiori a 100 °C.
  •  E' comunque da tener presente che tempi di cottura troppo prolungati  diminuiscono la digeribilità dei cibi. Infatti, da un lato i  cibi cotti sono  più digeribili rispetto ai cibi crudi perchè la cottura comporta la degradazione della membrana cellulare e il conseguente rilascio all' esterno delle sostanze nutritive;  d'altra parte, però, una cottura troppo prolungata provoca una eccessiva  denaturazione delle proteine e finisce per rendere il prodotto meno digeribile. Un esempio classico è l'uovo a "la coque" più digeribile sia dell'uovo crudo che dell'uovo sodo ben cotto.
  •  La friggitura e la grigliatura  sono due sistemi di cottura che devono essere condotti in maniera idonea, pena la formazione, nell' alimento, di sostanze tossiche per l' organismo umano.
  •  Nel caso della friggitura il pericolo può essere rappresentato dalla formazione di aldeide acrilica, sostanza dannosa per il fegato che  si produce a seguito del processo di pirolisi (degradazione termica dell'olio di friggitura). Questo processo si può verificare se viene raggiunto il cosiddetto "punto di fumo" dell' olio di friggitura; esso è caratteristico di ogni tipo di olio, ad esempio,  l' olio di mais, l' olio di girasole e l'olio di soia hanno punti di fumo bassi  (inferiori a 180 °C) e, pertanto, non si prestano bene alla friggitura. Al contrario, l'olio di oliva e l'olio di palma hanno punti di fumo superiori a 180 °C e, pertanto, si prestano meglio alla friggitura. In definitiva, se vogliamo evitare la formazione di aldeide acrilica, dobbiamo scegliere l'olio più adeguato ed evitare di riutilizzare e/o ricolmare l'olio in fase di friggitura.
  •  La grigliatura è un altro metodo di cottura che, se non condotto in maniera adeguata può dare origine a sostanze tossiche per l'organismo umano. Infatti, il contatto diretto con la fiamma o con la superficie eccessivamente calda della griglia può dare origine a zone di carbonizzazione contenenti  benzopirene, sostanza cancerogena per l'uomo. Quindi, bisogna prestare molta attenzione al fine di evitare la formazione di zone di  carbonizzazione sull' alimento.

A proposito di frodi alimentari


Con il termine "frode alimentare" si intende una serie di condotte illecite riconducibili ad "adulterazione" "alterazione",  "contraffazione""sofisticazione" dei prodotti alimentari.
  • L’adulterazione consiste nella variazione, non dichiarata, dei componenti di un prodotto alimentare: è il caso, ad esempio, dell’olio d’oliva misto ad olio di semi che viene, però, immesso sul mercato come olio d’oliva puro al 100%.
  •  L’alterazione consiste nella modifica, spesso dovuta ad una inadeguata conservazione, della composizione del prodotto alimentare, tale da intaccare le caratteristiche nutrizionali e di salubrità dello stesso; a volte si fa utilizzo di ingredienti o aromi particolari per mascherare le alterazioni
  • La contraffazione consiste nell’azione fraudolenta finalizzata a far apparire un prodotto alimentare dotato di caratteristiche diverse da quelle che possiede realmente: è il caso, ad esempio, della commercializzazione del sidro come moscato d’uva.
  •  La sofisticazione consiste nell’operazione fraudolenta che si attua sostituendo alcuni ingredienti del prodotto alimentare con altri di minor pregio: è il caso, ad esempio, del caffè sostituito in parte con l’orzo.
  • QUADRO NORMATIVO -  Occorre, innanzitutto, puntualizzare che il complesso di norme esistenti in tema di repressione della frode alimentare è quanto mai variegato e che il sistema sanzionatorio attuale si articola su diversi livelli.
  • Il primo livello riguarda la disciplina prevista dagli artt. 439, 440, 442, 444, 515, 516 e 517 del codice penale; il secondo, la legge n. 283 del 1962, inerente la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari; il terzo, infine, le normative specifiche di settore, destinate a regolare la composizione e a prescrivere le modalità di conservazione di determinati prodotti alimentari.
  • Ponendo l’attenzione sul primo dei tre livelli sopra illustrati, particolare importanza assumono le norme del codice penale dedicate ai “delitti di comune pericolo mediante frode” che, concepite per la tutela degli interessi dei consumatori, garantiscono l’affidamento di questi nella genuinità, integrità, purezza dei prodotti alimentari.
  • Si tratta di un complesso di disposizioni che punisce le condotte di alterazione e di contraffazione di sostanze alimentari idonee a produrre rischi per la collettività.  In particolare, l’art. 439 del codice penale punisce l’avvelenamento di acque o di sostanze destinate all’alimentazione con la reclusione non inferiore a quindici anni.
  • Se dal fatto deriva la morte di una o più persone, la pena è quella dell’ergastolo. Con la reclusione da tre a dieci anni è punita, invece, secondo quanto previsto dall’art. 440 del codice penale, l’adulterazione ovvero la contraffazione di sostanze alimentari se pericolose per la salute pubblica.
  • Soggiace alle stesse pene chi detiene per il commercio, pone in commercio, o distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte in modo pericoloso alla salute pubblica. Si tenga presente che la condotta vietata si configura anche per il solo fatto di esporre sostanze alimentari pericolose.
  • Con l’espressione “frode nell’esercizio del commercio” ci si riferisce ai casi in cui nell’esercizio di un’attività commerciale, si consegna all’acquirente una cosa per un’altra, o diversa per origine, provenienza, qualità e quantità, da quella dichiarata o pattuita. Pertanto la frode in commercio si realizza nella condotta dell’esercente che consegni ad esempio,  prosciutto crudo non di Parma al richiedente prosciutto di Parma. La pena prevista per la frode in commercio è la reclusione fino a due anni ovvero la multa fino a euro 2.065.
  • La giurisprudenza ha, poi, precisato che la generica offerta in vendita o la semplice detenzione per la vendita, consistente, ad esempio, nella esposizione sui banchi di vendita di prodotti alimentari scaduti, per esserne stata alterata o sostituita sulle confezioni l’originale indicazione del termine minimo di conservazione, costituisce tentativo di frode in commercio, indipedentemente da ogni rapporto con l’acquirente.
  • Il tentativo di frode in commercio è configurabile anche nell’ambito dell’attività di ristorazione, nel caso in cui siano impiegati prodotti surgelati, non solo quando venga omessa l’indicazione di tale tipo di alimenti nella lista delle pietanze ma anche quando la loro indicazione sia fatta con caratteri molto piccoli, in modo da sfuggire all’attenzione della clientela .
  •  Da ultimo, la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine è punita con la reclusione fino a sei mesi ovvero con la multa fino a euro 1.032. La giurisprudenza ha precisato che per sostanza alimentare non genuina deve intendersi quella che non contiene le sostanze o i quantitativi previsti ovvero quella che contiene additivi non consentiti (Es.: vendita di salsiccia fresca di carne suina che poi risulta contenere carne bovina).
  • CASI PECULIARI - Le ipotesi più frequenti di frodi alimentari a danno dei consumatori si realizzano attraverso false dichiarazioni in merito alla provenienza, alla qualità, alla composizione e alle caratteristiche di un prodotto alimentare; attraverso indicazioni ingannevoli ed insidiose, atte a magnificare indebitamente un prodotto alimentare e le sue caratteristiche; attraverso la mancata corrispondenza degli ingredienti dichiarati (realizzata attraverso l’assenza o il minor contenuto di quelli di pregio); attraverso la mancata elencazione degli ingredienti “indesiderati” (es. conservanti) o di minor valore (es. olii di diversa natura); attraverso “manipolazioni” della data di scadenza o di TMC (termine minimo di conservazione).
  • Sotto questo aspetto, analizzando le relazioni dell’Ispettorato centrale repressione frodi sull’attività e i controlli svolti annualmente, è possibile tracciare un quadro generale delle frodi alimentari che si registrano nel nostro Paese con maggior frequenza. Fra le altre, si segnalano le frodi riguardanti:
  •  vini: vendita di vini comuni come DOC o DOCG, utilizzo di aromi per nascondere il gusto di vini scadenti, utilizzo di trucioli di legno per dare il sapore di “barrique”, aggiunta di zucchero  per elevare il grado alcolico.
  •  formaggi: presenza di latte vaccino in formaggi dichiarati di bufala, pecora o capra; impiego di grassi idrogenati nella fabbricazione del burro, di mozzarelle ed di altri formaggi freschi.
  •  pasta: utilizzo di farina di grano tenero invece che della semola di  grano duro.
  • riso:  dichiarazioni in etichetta di varietà non corrispondenti all’effettivo contenuto.
  •  uova: false dichiarazioni  sulla data di scadenza, di deposizione o di imballaggio. L’Istituto centrale repressione frodi ha riscontrato, infatti, casi di postdatazione delle confezioni, ma anche di mancato confezionamento delle uova entro i termini previsti: condotte che consentono di fatto di commercializzare uova di qualche giorno come appena deposte.
  •  prodotti biologici: commercializzazione di prodotti biologici sprovvisti della documentazione attestante l’origine ed il metodo di produzione.Specifica regolamentazione ha ricevuto, con il regolamento (CE) n. 1019/2002 del 13 giugno 2002, la commercializzazione dell’olio d’oliva. Il regolamento ha stabilito nuove regole per l’etichettatura degli olii d’oliva venduti al consumatore finale, direttamente o come ingredienti di altri prodotti alimentari. In particolare, le disposizioni sul confezionamento dell’olio devono garantire la tutela della salute del consumatore al momento dell’acquisto, sottraendolo al rischio, sempre più frequente, di vendita sfusa di olio senza etichette. Spesso infatti l’olio viene miscelato ad olii di qualità inferiore o ad altre sostanze, ovvero prodotto senza osservare le norme igieniche essenziali.

L' EFSA si è espressa sui limiti di lattosio negli alimenti per gli individui affetti da intolleranza e da galattosemia.


Il Panel di EFSA sulla Nutrizione, Prodotti dietetici e allergie ha prodotto una Opinione scientifica sui limiti ammissibili di lattosio in caso di intolleranza allo stesso.Il lattosio è un disaccaride composto da  glucosio e galattosio ed è presente in quantitativi variabili nel latte dei mammiferi. Nell' apparato gastro intestinale, il lattosio viene digerito ad opera dell' enzima beta-galattossidasi. Questo enzima può essere carente o addirittura assente (la scarsa quantità potrebbe essere causata da un basso e infrequente consumo di latte); in tal caso, il lattosio non digerito genera problemi e sintomi di intolleranza (come diarrea e crampi addominali).Ancora più grave è la situazione degli individui affetti da galattosemia, una sindrome ereditaria dovuta alla mancanza di enzimi epatici deputati al metabolismo del galattosio con conseguenti livelli elevati dello stesso nel sangue e con conseguenze  molto gravi per l'organismo. Il lattosio è associato comunque ad una migliore assimilazione di calcio, zinco e altre sostanze nutritive.Il Panel di EFSA conferma che soggetti intolleranti al lattosio possono tranquillamente assumere una dose pari a 240 ml di latte al giorno (pari a circa 12 grammi di lattosio) senza sviluppare sintomi (in particolare se l’assunzione avviene con altri cibi).Alcuni studi evidenzierebbero come alcuni soggetti intolleranti al lattosio possono tollerare dosi di 20-24 grammi (quasi mezzolitro di latte) al giorno, se distribuiti nel corso della giornata e consumati insieme ad altri alimenti. Altri studi evidenziano che in una piccola parte dei soggetti con cattiva digestione del lattosio si sono verificati sintomi al di sotto dei 12 grammi per singola dose.Il Panel in ragione della alta variabilità individuale della risposta al lattosio conclude che non può essere fissata una dose di riferimento per il lattosio.In caso di soggetti affetti da  galattosemia, si corre invece il rischio di  morte dovuta a danno epatico e renale e l'unica precauzione possibile  è l’eliminazione di tutte le fonti di galattosio, a partire dal latte umano.  Nei bambini oltre i primi mesi e negli adulti, la dose giornaliera non dovrebbe superare i 25 mg di lattosio per 100 kilocalorie introdotte con gli  alimenti. Per i neonati, il massimo è di 10 mg di lattosio per 100 kilocalorie di alimenti.  Attualmente vige l’indicazione in etichetta di “privo di lattosio”, pari ad almeno una quantità inferiore a 10 mg di lattosio per 100 kilocalorie di alimento nei prodotti per l’infanzia. Tale indicazione viene giudicata dal Panel sufficiente  L' EFSA chiarisce che i miglioramenti tecnologici che conducono alla rimozione del lattosio dai prodotti non forniscono al momento informazioni sufficienti; in ogni caso, la riduzione di latticini senza una integrazione o adattamento delle pratiche dietetiche può produrre mancanze di calcio, vitamina D e riboflavina.E' utile ricordare che i formaggi a pasta dura ( Parmigiano Reggiano,  Grana Padano, Pecorino)  possono essere consumati tranquillamente dai portatori di intolleranza al lattosio per supplire a tali carenze, nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata.

Dieta mediterranea: un ottimo antidepressivo


Su Archives of psychiatry è stato pubblicata una ricerca dell' Università di Navarra (Spagna) della durata di 4 anni e che ha coinvolto 10.000 volontari.Essa ha dimostrato che l'incidenza della depressione in persone che seguono rigorosamente la dieta mediterranea è inferiore del 40% rispetto a persone che non seguono la dieta mediterranea.Ecco gli alimenti cardine della dieta mediterranea: olio di oliva, frutta (anche frutta secca), cereali, legumi, verdura, pesce.Gli autori della ricerca hanno studiato anche i meccanismi biochimici coinvolti ed hanno evidenziato che i principi nutrizionali presenti negli alimenti sopra elencati: acidi grassi insaturi (in particolare gli acidi grassi omega 3 presenti nel pesce) e le vitamine del gruppo B, abbondanti negli alimenti di origine vegetale  possono  agire sui meccanismi d' azione dei neuro trasmettitori coinvolti nella depressione (serotonina) e possono influire sulla permeabilità della membrana cellulare.

Caratteristiche nutrizionali dell'olio di oliva


L'olio di oliva è particolarmente ricco di sostanze antiossidanti come: vitamina E, polifenoli e carotenoidi (precursore della vitamina A) che, come noto, esplicano un' azione fortemente protettiva nei confronti delle cellule dell'organismo umano.E' noto, infatti, che le sostanze antiossidanti contrastano l'attività dei radicali liberi, responsabili dell'invecchiamento delle cellule.L'olio di oliva contiene anche significativi quantitativi di vitamina D, e ciò fa sì che esso permetta una buona assunzione del calcio nell’ intestino e una conseguente buona attività contro la decalcificazione ossea negli anziani.La composizione in acidi grassi dell' olio di oliva è caratterizzata da un giusto rapporto tra acidi grassi saturi, mono insaturi e poliinsaturi; in particolare, prevale l'acido oleico (monoinsaturo) il quale conferisce all'olio di oliva una stabilità al calore superiore  rispetto ad altri oli vegetali più ricchi in acidi grassi poliinsaturi (linoleico e linolenico). La sua composizione in acidi grassi fa si che l'olio di oliva rimanga inalterato fino a 200 °C (punto di fumo) mentre altri oli vegetali (es: olio di girasole) sono caratterizzati da temperature  di fumo più basse; ciò basta a sfatare il mito secondo cui gli oli vegetali siano più idonei alla frittura rispetto all'olio di oliva.Il consumo abituale di olio di oliva può aiutare a prevenire i tumori del colon e della mammella, ma anche le malattie cardiovascolari, perché grazie alla presenza di acido oleico rende le lipoproteine più solubili e ne aumenta la capacità di rimuovere il colesterolo.